La libreria immobile e silenziosa

La libreria immobile e silenziosa, a tratti inquietante nella sua immensa conoscenza mi guardava scrutando nel profondo.
Infastidita da questo interrogatorio silenzioso mi siedo alla scrivania.
Davanti a me un foglio intonso e una penna consunta.
Mi perdo a guardare le pieghe della carta vecchia cercando un’ispirazione ma tutto quello che trovo è un’altra seduta inquisitoria che mi spoglia squarciando la cassa toracica nell’intento di leggere cosa c’è scritto dentro.
È quasi un dolore palpabile. Non lo accetto ed inquieta mi alzo, giro intorno al tavolo e comincio a contare le miglia che mancano alla rotta ufficiale… Ma le tratte si confondono e il rollio non aiuta.
Ancora una volta la sensazione di due occhi puntati nel mio animo mi fanno girare per la cabina senza una meta precisa, agitata come uno squalo.
Torno verso la parete di libri e cerco di far tacere la confusione concentrandomi sui titoli dei volumi che ho davanti. Li conosco tutti, uno ad uno, letti, riletti, amati e odiati, traditori che tacciono lasciando che le voci si facciano più forti.
Un’onda infida mi fa cadere addosso una vecchia conchiglia appoggiata lì per fermare il vuoto lasciato dai testi rubati.
La botta è lieve ma mi brucia l’anima come l’insulto di uno stolto. Da buon mediatore mantengo la calma e mi limito a fulminare con lo sguardo la crosta di mare che rotola in terra.
Barcollando giro per la stanza finché un’onda più forte mi sbatte sul letto in malo modo. Come uno straccio da mozzo resto lì a penzolare per metà seduta e per metà sdraiata a fissare il lume spento che dondola senza sosta da giorni… E’ troppo tempo che non sfiato, il vino non basta, le risate non mi fanno dimenticare, lo stomaco contratto mi ricorda la furia del mio animo, ma l’etichetta e il buon senso mi impongono di non reagire.
Dopo qualche minuto, o forse molti, non saprei, un boato mi scuote. Con un barlume di gesto conservativo mi alzo e con equilibrio incerto mi precipito verso la porta per vedere cosa sta succedendo, ma sui miei passi incrocio lo spigolo della scrivania che mi colpisce appena sopra l’anca. Un male così forte che mi scappa una grido, più di rabbia che di dolore. La furia si libera, guardo il tavolo con odio e comincio a lanciare furiosamente tutto quello che è alla mia portata contro qualsiasi cosa io abbia difronte emettendo ruggiti senza senso.
Nel totale delirio sento un gemito seguito da una bestemmia che non esce da me. Mi ghiaccio con un boccale in mano pronto per il decollo e guardo verso la porta.
Mister “ho sempre ragione” è in piedi tra gli stipiti leggermente piegato in avanti con una mano sullo stomaco ed una sul legno a sostenersi. Verso di me uno sguardo rabbioso letteralmente nero ed un vaso di inchiostro che rotola inconsapevole ai suoi piedi.
“Cosa cazzo sta succedendo qui?!”
“Che cazzo te ne frega!” la mia risposta.
Con un calcio sposta il barattolo e si avvicina verso di me con fare tutt’altro che benevolo. Mi salva un’onda che lo fa sbattere contro il famoso tavolo. Un’onta che lo ferisce alla mano che teneva sulla pancia e trasforma il suo atteggiamento punitivo in una smorfia di odio verso il tavolo.
In un baleno rivedo me stessa pochi minuti prima, furiosa per lo stesso motivo e scoppio a ridere senza sosta, per nulla intimidita dalla figura attonita che mi sta davanti.
Incapace di reagire si limita ad osservare il mio delirio e a raccogliere un oggetto finito sui suoi piedi.
Il rollio si sta quietando e riesco a riprendere un briciolo di dignità, anche se il ghigno non mi scompare del tutto.
Per prudenza afferro al volo la prima cosa più simile ad un’arma che ho a portata e la infilo nella fascia che ho in cintura.
“E con quello vorresti salvarti la pelle?”
Ripresa serietà osservo lui che mi si avvicina con fare incalzante. Il mare non mi aiuta più. La nave beccheggia dolcemente e il suo incedere non presagisce nulla di buono.
Guardo l’ipotetica arma che ho afferrato: un cucchiaio da minestra, terribilmente offensivo.
Il mio sarcasmo ancora una volta mi soccorre: “potrei farti morire dal ridere, raggiungerei ugualmente lo scopo… mister ho sempre ragione
No, non è servito; il suo volto ancora più nero dell’inchiostro che lo ha segnato, si avvicina paurosamente al mio e mentre una sua mano mi afferra alla gola inchiodandomi alla parete il mio cervello macina soluzioni di fuga alla velocità della luce.
Gli occhi puntati infondo ai miei, leggermente socchiusi e le labbra serrate in un bisbiglio isterico “Ti ho detto di non chiamarmi così! Ti ho già chiesto scusa! E là fuori c’è una ciurma che parla alle nostre spalle rendendoci la vita ancora più complicata, se possibile. Impara a startene al tuo posto o il tuo prossimo letto sarà di legno con le sponde alte!”
Comincio a respirare poco e male, la morsa non cessa la presa e per poco visualizzo il letto di legno… Il cucchiaio!
Lo sfilo dalla cintura e glielo infilo nei pantaloni con poca delicatezza.
Fa un salto indietro allertato da quel qualcosa freddo e metallico totalmente inaspettato e molla la presa, a quel punto sferro un sinistro alla sua faccia e lo faccio cadere.
Riprendo fiato, lui dolorante con una mano sul labbro mezzo sdraiato a terra mi guarda con sfida pronto a restituirmi il benservito ma sono più svelta, in un istante afferro un pugnale e mi siedo sopra di lui puntandoglielo alla gola.
Il suo corpo è teso come una gomena, lentamente appoggia le mani sopra la testa in segno di resa, prova a sorridere ma non mi fido e non mi sposto di un millimetro rispondendo con un altro sorriso.
Lentamente sento i suoi addominali sotto di me rilassarsi. Sempre senza spostare il coltello dalla sua giugulare e i miei occhi dai suoi, faccio scivolare la mano verso la sua cintura.
Lui rimane impassibile e fiero, io sostengo la stessa parte e procedo nel mio intento scivolando sulla sua pelle sotto la cintura.
Fierezza ed incorruttibilità tradita da un fremito incontrollato quando la mia mano si avvicina molto lentamente dove non dovrebbe, sfiorando l’inguine immobile.
Il calore del suo corpo si scontra col mio, i suoi addominali riprendono vigore mentre la mia mano sfiora zone morbide e delicate, circumnavigando il pezzo da otto che tenta di ribellarsi puntando verso l’alto.
Sfioro la punta del cannone e non distolgo lo sguardo dai suoi occhi. Nulla da dire. Impassibile alza leggermente il mento infastidito dalla lama e apre impercettibilmente le labbra. Io non celo un certo piacere per quella situazione con un leggero movimento pelvico mettendomi più a mio agio.
La mia mano scende dolcemente dalla cima e e si sposta verso l’altro inguine sfiorandone la pelle fino ad afferrare un oggetto ormai caldo che lentamente faccio scivolare verso la pancia fino a farlo uscire dalla cintura.
Sorrido, gli mostro il mio ritrovato e gli sussurro “cercavo solo questo”.
Apre la sua bocca nel tentativo di controbattere ed in quel momento si spalanca la porta ed entra il nostromo.
“Capitan…”
Una statua appesa alla porta con la mascella spalancata vede, un capitano sdraiato a terra con il labbro sanguinante ed una donna seduta a cavalcioni sopra di lui, che tiene un cucchiaio in alto davanti alla sua faccia sporca di inchiostro ed un coltello alla sua gola.
“Parli nostromo, stavo solo spiegando al capitano che il cucchiaio non è d’argento” e senza troppi convenevoli mi alzo sistemandomi la camicia e riponendo il coltello sulla libreria.
“ehm.. Secche in vista capitano. Nuova rotta?”

 

-Benn-
T.S. 2-6 : 1

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