“The Darth side of the life”

 

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Ci sono periodi nella vita in cui ti arrivano colpi da tutte le parti, senza tregua.

Solitamente i primi li reggo bene, addirittura dissimulo sostenendo che siano solo graffi, piazzando uno scudo qua e là; i secondi li attutisco con piccoli escamotage appoggiandomi su qualcosa di poco visibile mentre lo scudo comincia a mostrare qualche segno di troppo; con i terzi mi sveglio un po’ e cerco di schivarli, ma ormai la stanchezza si fa sentire e lo scudo è malconcio; i quarti, in genere i più subdoli, mi osservano silenziosi, come un felino mentre studia la preda e aspettano che abbassi la guardia, cosa che inevitabilmente succede prima o poi in quanto essere umano.

Ecco, questa è la mia attuale quarta fase, anche se un po’ diversa dal solito: questa volta sapevo quello che stava per arrivare e non ho fatto nulla per evitarlo.
Lo scudo giaceva appoggiato al muro come degno riposo di un fedele collega stanco; da lontano intuivo l’onda che mi avrebbe travolto e mi sono alzata, mi sono vestita bene, perfino truccata, e ho messo dei gioielli raffinati.
Ho respirato profondamente gli ultimi odori, ho ascoltato sorridendo i rumori di fondo e sentito il vento fresco sulla mia pelle. Man mano che l’ondata si stava avvicinando, il profumo diventava più agre e i rumori più violenti e confusi.
Mi sono messa sull’attenti, ho rivolto uno sguardo rapido al mio scudo “semper fidelis” e poi da bravo soldato ho atteso guardando negli occhi quello che stava per travolgermi.

Come in una giostra, i colori, gli odori, i rumori si sono miscelati in un’unica provetta in cui io navigavo come un granello di sabbia; poi silenzio.

Non è durato molto. Intenso, molto intenso, ma breve.

Più lungo e patetico il risveglio nel mare della sconfitta. All’inizio, stupidamente attonita e disarmata nel non accettare quanto successo, cercavo di aggrapparmi a ipotetiche possibilità di ritorno alla calda e sicura spiaggia, a pensare di sedere assieme al mio semper fidelis e parlare di quanto accaduto come un lontano ricordo di una cicatrice.
Mi sono data dell’idiota più e più volte per aver voluto fare un gesto forse più orgoglioso che dignitoso e così, in automatico, ho escogitato mille soluzioni in pochi secondi, agitandomi come un bambino che non accetta un “NO”.
Piange, si tormenta, si affligge nel vedere che i suoi programmi e le sue prospettive sono ridotte ad un “NO” da chi ne vuol sapere più di lui! L’ingiustizia ribolle nelle vene del bambino perchè lui “SA” a cosa gli serviva quella cosa; lui “SA” che non era solo un gioco e “SA” che avrebbe potuto fare molto per tanti se avesse potuto usare quel gioco ancora x un po’…. Ma disperazione e frustrazione non cambiano la risposta, che resta inevitabilmente un “NO”.

Poi finalmente il bambino esausto e sopraffatto dalla tristezza si addormenta. Il genitore sorride, non lo sposta e accarezzandolo gli mette addosso una coperta alzandola fino a lambirne le guance ancora rossastre dal sale del pianto. E finalmente è silenzio e calore.

Il mio bambino dorme, il mio genitore così apparentemente crudele e spietato lo lascia solo e se ne va in studio: Tabacco, Napoleon o Single Malt, (poi deciderò)… camino acceso e silenzio umano.

Ha vinto il Single Malt, era più a portata di mano e non mi sono posta domande mentre mi sedevo sul tappeto con lo sguardo fisso sulle fiamme.
Nessun interrogativo mi ha sfiorato la mente, nessun dubbio, nessuna soluzione o proposta, nemmeno deduzioni su <<chi o cosa>>, solo un bicchiere di whisky, un po’ di tabacco, un posacenere improvvisato e un corpo con quel poco di dignità che gli restava, seduto sul tappeto.
E’ una sconfitta vissuta, attesa e totale così forte da lasciar sospeso perfino il tempo. Così l’unica cosa che riesco a fare è lasciarmi trapassare senza reagire.
Mischiata dalle tinte forti del malto e annebbiata dal fumo del tabacco, la assaporo, ne sento la consistenza tra le mani e le sussurrate parole nelle orecchie: hai perso, ti ho fermato, ora non puoi fare più nulla: sei sola.
Lascio che queste parole mi entrino nel profondo dell’ animo attraverso lo sterno e da lì si diffondano in ogni cellula del mio corpo. Senza accorgermi e senza deciderlo, mi abbandono completamente ad essa e non provo più nulla.

Il dolore è scomparso, non c’è orgoglio ferito che sanguini o blues che canti il mio cuore. Non c’è più un cuore. Ma nemmeno una mente o un corpo che galleggia in una provetta. Nulla per un tempo non terrestre.

Un brivido, un odore e un gesto meccanico mi riportano al presente, sorseggio un bicchierino vuoto e guardo una sigaretta che si è fumata da sola nel posacenere. Il fuoco nel camino langue.
Al pari di un album fotografico, mi scorrono davanti agli occhi le immagini, in ordine rispettivamente, di:
– tabacco
– cartine
– bicchierino
– bottiglia
– mani

Ed in ordine inverso comincio a prendere la bottiglia, riempire il bicchierino, appoggiarlo sul tappeto, raggiungere le cartine e con il tabacco rollarmi una sigaretta. Il tutto in pochi secondi ed al contempo in eterni secoli di vita che riprendono possesso delle mie membra precedentemente inconsistenti.
La mia mente si attiva, il cuore chiede calore e mi obbliga a ravvivare il fuoco; sento distintamente ogni singolo rumore che mi circonda ma non il chiacchiericcio solito della mia anima.
Curioso.
Osservo il fumo girare per la stanza, annuso il Single Malt per ingannare l’olfatto e stimolare l’udito ma nulla. La mia anima tace in silente attesa.

Di solito, dopo che ho toccato il fondo nella fase di chiusura e solitudine, mi scuoto dal torpore per il chiacchiericcio mai taciuto dell’anima che mi riporta alla normalità fatta di dubbi e ipotesi, eppure stavolta non è successo. “Resto in ascolto. Passo.”

Il Pingback che mi torna mi dà errore. “Non sei tu che resti in ascolto, lo sono io. Attendo. Passo.”

Il fuoco è crepitante, il cuore pulsa e mette in moto le sensazioni: in una miscela unica, tutte.
Dalla paura alla fermezza passando per sospetti e ipotesi, in un’unica soluzione, trangugio l’inaspettata medicina senza pensare e rispondo: “Hai vinto. Accetto. Passo.”
Come se avessi trattenuto il respiro per ore, sfiato anidride carbonica ripulendo l’aria dentro il mio corpo. Bevo un sorso e finalmente mi rilasso. Ho preso la mia decisione: “Hai vinto. Accetto. Passo e chiudo.”
L’animo sogghigna spietato e lo sento sussurrare: “Bene: comincia una nuova avventura…”.

Ho lottato, forse da sempre, contro.
Contro le ingiustizie, come avvocato delle cause perse, contro le povertà di spirito cercando di dare quanto più potevo, contro la stupidità e la mancanza di buon senso, contro gli eccessi cercando vie di mediazione tra santità e inferni, contro tutto quello che ritenevo sbagliato che la gente facesse nel ledere il prossimo… una vita di lotta “contro”.
Ed ora? Immersa nella Waterloo della mia vita, sconfitta su tutti i fronti, ammetto di aver irrimediabilmente perso. Cedo le armi, alzo le mani e mostro i polsi: arrestatemi ora!
Ora o mai più.

Va bene, lo ammetto, sembra l’imbarazzante affermazione di un dissennato: telecamera a tutto campo, figo sconvolto, solo in mezzo al deserto che grida “fermatemi” alle dune indifferenti.

Ma è davvero andata così… imbarazzante vero?!

Ora analizziamo freddamente quello che mi è successo: un fallimento di troppo che mi ha spezzato l’entusiasmo; ho accettato il colpo in modo evidentemente maldestro, ho cercato di farmene una ragione senza riuscirci (tanto per continuare la tradizione dei fallimenti… forse mi ci sto affezionando). Ho mollato.

I “never give up” che ho sempre suggerito al mondo sono sbriciolati come un puzzle in una pozzanghera fangosa sotto un diluvio, ed io in piedi difronte a loro li guardo senza nemmeno dissimulare il disprezzo. Cosa mi sta succedendo? Cosa sto accettando senza termini di discussione? Non riesco a vederci chiaro… Letteralmente!
Sento che sono difronte ad una via che devo percorrere ma non la vedo e mi lascio trasportare sonnecchiando sul dorso di un cavallo nella foresta di notte e una voce che mi dice “lascialo fare, il cavallo al buio ci vede molto bene e vuole tornare a mangiar fieno nella sua stalla”.
Ho chesto tante volte alla vita di insegnarmi cos’è la fiducia. Non me l’hanno installata questo giro. Ed ora sono costretta a sonnecchiare e riposare sul ballonzolante dorso di un equino che pacificamente cerca la via di casa nella notte. Attenzione a quello che si chiede, si rischia di ottenerlo!

L’accettata figura della persona ben voluta e corretta ora tace sconfitta dagli eventi. Stanca e senza entusiasmo.
MA… (Sì, c’è un MA…) Sono sempre io vincitore o sconfitto, non posso che essere sempre io, che mi piaccia o meno. E io poi mi annoio. Quando il corpo ha recuperato le forze e ha riposato abbastanza nella ritrovata stalla, comincia ad alzarsi e guardarsi intorno.
All’inizio pulisco un po’ qua e là, misuro le distanze, sistemo gli spazi e chiacchiero con chi vuole ascoltare; poi mi annoio di nuovo e mi siedo a guardare fuori come gira il mondo.
C’è buio, si vede molto poco, così cerco di abituare gli occhi per bucare l’oscurità e alla fine mi accorgo che il posto dove mi trovo non è la solita stalla, non lo riconosco.
Finalmente qualcosa da fare!!! La mia noia si dissolve e sentimenti contrastanti di timore e curiosità ballano in un girotondo saltellante e festoso.
Batto le mani come il bambino accontentato e mi alzo per guardare meglio.
No niente. Questo posto pur essendomi familiare, non l’ho mai visto. Non ho nulla di meglio da fare; mi sistemo ed esco.
Il terreno fuori e spaventosamente accidentato, si inutisce che qualche tentativo di civilizzazione sia passato di lì con poco successo.
E’ un terreno incolto, ruvido pieno di rovi e per niente socievole. Il cielo è limpido buio, profondo. Guardarlo dà la sensazione che ti risucchi in un vortice senza ritorno; barcollo un momento senza distogliere lo sguardo, indietreggio e mi appoggio a qualcosa.
Quel qualcosa rapisce la mia curiosità e cambio orizzonte vedendo la mia mano aggrappata ad una vecchia balaustra di pietra. Un oggetto familiare… ma confuso nella memoria. Ha un odore che conosco, ma troppo lontano nel tempo per dire cosa sia.
Dove sono?
Il cavallo pacifico nitrisce e aspetta paziente che mi accorga di lui. Finalmente mi giro lo guardo e sorridendo gli chiedo “dove mi hai portato?”
“Nella tua Darth side of the life, buon soggiorno!”
Ebbene sono ufficialmente in viaggio nel lato oscuro della mia vita.
Ad oggi, osservandolo, camminandoci, conoscendolo e vivendolo, sto scoprendo che ha assorbito quasi tutti i colpi della mia vita. Come la faccia nascosta della luna, non è un luogo buio ma viene lambito dalla luce, solo che non lo vedevo mai, ero troppo impegnata a combatterlo mentre lui pazientemente offriva il suo terreno per attutire i fendenti che mi andavo a cercare.
Sono qui, senza armi. Senza nemmeno la voglia di combattere, seduta a chiacchierare col cavallo viaggiatore delle stranezze delle nostre convinzioni.
In lontananza sento richiami che mi chiedono di tornare sui miei passi nel mondo del “si deve fare così”… Smettete di gridare come fischietti per anatre, ho un mondo nuovo da scoprire, cose nuove da imparare nella mia “The Darth side of the life”
Per esempio: “chi è più folle, il folle o quello che lo segue?” ora so con certezza la risposta.
Benn.

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