La manopola del potenziometro scivola lentamente verso l’alto mentre lo sguardo indagatore viaggia velocemente sul guadagno.
Do un’occhiata in sala per vedere se sono pronti e mi si para davanti una scena singolare: il cantante è accucciato a terra con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso il pavimento, la sua mano sinistra sfiora delicatamente le cuffie, l’altra è aggrappata con forza all’asta del microfono.
Le due chitarre mancine sono appoggiate malamente alle panche con le loro cinghie che sembrano sciogliersi al suolo: in effetti fa veramente caldo!
Il basso è ancora appeso al collo del suo strumentista che attende con la proverbiale flemma il momento dell’attacco, anche se il segnale tarda ad arrivare. Mentre evidentemente, secondo il parere del batterista, che giace come morto sul rullante, si sta per registrare l’intro più noiosa della storia.
Rumore ovattato di cartina e tabacco arriva da dietro il cantante: si tratta del tastierista che sta rollando una sigaretta per prepararsi moralmente alla maratona di accordi lunghi e getti di improvvisazione, sicuramente più coinvolto del batterista.
Li guardo mentre armeggio con le manopole, li conosco bene e sono un bel gruppo progressive. Puntano in alto, hanno esperienza da vendere.
Il cantante veste casual, di solito in tono con i colori della sua chitarra, capelli neri corti e spettinati. Il bassista cerca uno stile più classico, quasi jazz, taglio ordinato color mogano; il tastierista se ne sbatte di tutto ed ogni volta indossa un cappello diverso ed occhiali scuri, a volte raccogliendo la chioma riccia con un fioccone nero a volte lasciando tutto così come capita bruciacchiandosi le punte con la brace; il batterista con una bandana sulla testa per tenere fermi i capelli lunghi lisci e chiarissimi, è un miracolo se si ricorda di indossare le mutande sotto l’immancabile kilt.
Nella mia stanza dei bottoni, ammetto che sono un po’ sconfortata dalla situazione in sala ma immagino sia il caldo assurdo che non aiuta. L’aria condizionata è richiesta al minimo per evitare danni alle voci (ma poi il tastierista fuma e va bene a tutti… vabbè) ed io sono determinata a fare un buon lavoro, quindi apro il canale del microfono per comunicare col cantante.
– Come ti senti?
Lui ancora accovacciato a terra, muove la testa seguendo con lo sguardo tutta l’asta nera a cui è appeso e si limita ad alzare il viso in direzione del microfono. La mano preme un po’ di più sulla cuffia, come per ascoltare meglio, il naso inala un po’ d’aria, la gola ruggisce un gutturale:
– Di merda!
D’istinto mi sfugge un “sto czzo di cavo” stretto tra i denti, che immediatamente si trasforma in un cristallino “Ok” nelle orecchie del performer.
Quindi riprendo ad armeggiare con i vari canali: un orecchio coperto dalla cuffia e l’altro no, mi districo tra manopole e scuotimenti energici di connettori, alla ricerca di qualche guasto, quindi riferisco:
– Ci siamo quasi, credo di aver capito cosa non va. Tre minuti e partiamo.
Inizio a sentire l’ansia da prestazione attanagliarmi il torace ma la nascondo mascherandola con la frenesia dei movimenti
Il cantante fa cenno con la testa e alzando la mano mostra tre dita per comunicare i minuti che gli ho suggerito in cuffia.
Il batterista resuscita, gli risponde col medio e poi aggiusta la distanza tra ginocchia, rullante e piatti e si strofina le mani sul gonnellino, senza mai mollare le bacchette.
Il bassista accarezza le corde che stancamente emettono un cupo suono di presenza.
Il tastierista si piega per raccogliere un bicchiere di carta vuoto da usare come posacenere, mentre si accende la sigaretta appena fatta, totalmente incurante del caldo e dell’imminente inizio. Nel gesto urta un leggio facendolo cadere rumorosamente a terra vicino al cantante che, con un movimento automatico, rialza la testa e si aggiusta le cuffie, quindi si mette in piedi, si sistema la maglietta e si gira a prendere una delle chitarre agonizzanti sulla panca.
Tenta un paio di accordi ma non si muove un suono. Mi fa un gesto comunicando che è tutto muto.
“Ma dai?!” mimo sarcasticamente col labiale da dietro il mixer, sventolando un cavo staccato.
Il cantante, quindi raccoglie il leggio vuoto e ci mette sopra dei fogli che teneva piegati nella tasca dietro dei jeans. Incrocia lo sguardo col tastierista che con un cenno del mento gli indica il batterista che si sta agitando fingendo di suonare un pezzo epico pestando l’aria.
Il Bassista lo segue accarezzando il manico del suo strumento con un moto di approvazione e poi scoppia a ridere.
Il tastierista risponde alla risata e il batterista si mette ancora di più a fare il pirla.
Ma il cantante resta immobile col viso serio a fissare il vuoto oltre i fogli sul leggio, perso in una dimensione lontana, ovattato dalle sue cuffie.
– Ora come va?
In tutta risposta ha un sussulto violento, mi lancia un’occhiata fulminante con quelle iridi bicromatiche, mi manda al diavolo con un chiaro gesto della mano sinistra e fa cenno di abbassare.
Mi scuso non riuscendo a restare seria per via della sua espressione e degli altri tre che si stanno sganasciando dalle risate e faccio scivolare la manopola del volume verso valori più bassi, nascondendomi la bocca con l’altra mano.
– Ok, ora come va? Ti senti meglio?
– NO per niente!
– Ma ancora?? Ma PERCHÉ? Non capisco, qui sembra tutto a posto!
Guardo esasperata e frustrata prima il mixer e poi lui.
Il cantante continua a guardarmi dritto negli occhi; il volto tirato, la bocca serrata in una smorfia irritata, le pupille annegate in occhi arrossati e lucidi tanto da sembrare pronto a ringhiare; tocca leggermente il microfono indicando di aprirlo quindi avvicina le labbra al metallo mi indica di aggiungere parecchio riverbero, poi ruggisce:
– Perché? PERCHÉ sono un coglione- one -one -one…
la fronte si appoggia alla mano sul microfono
– sono riuscito a farmi mollare anche da lei, era la donna migliore del mondo -ondo -ondo – ondo….
Poi alzando la testa e asciugandosi gli occhi persi nel nulla conclude con una voce soffocata:
– Mi sarei mollato anche io.. cazzo! Sono un coglione!! Mi manca!! Non ce la faccio…o…o…
Il batterista raccoglie da terra un piccolo astuccio e colpisce con forza il cantante, che imprecando lo recupera e glielo rilancia. Si guardano fingendosi arrabbiati. Le bacchette parlano attraverso un ampio cerchio nell’aria indicando genericamente la sala prove e successivamente me.
Gli altri due nel frattempo sono a braccetto dietro le tastiere cantando una melodia triste ondeggiando in modo vistoso per sottolineare ancora di più la presa in giro.
Il cantante mi guarda con gli occhi lucidi come se mi chiedesse aiuto, poi abbassa lo sguardo e si ricompone un po’.
Io sono molto imbarazzata e stempero con un mezzo sorriso. Lui ricambia e, avvicinandosi al microfono con le labbra che lo sfiorano ed un tono più presente mi comunica:
– Scusa, non ci siamo intesi prima. Mi sento benissimo in cuffia, volumi perfetti. Ora ci sono. Cominciamo dai.
Benn
12-5-2025
