Ritorno a Casa

– Attenta alla testa, qui è un passaggio un po’ basso.
Mi scappa da ridere… sono alta poco più di un metro e mezzo, non c’è pericolo di picchiare la testa.

– Puoi sederti lì.

Mi indica uno sgabello imbottito incastrato tra mille altri stand metallici.
Ho paura di fare un casino, non ho più le misure del mio culo da quando ho cominciato a stare male, perciò mi muovo con molta cautela come una megattera in un porto.

Si parla del più e del meno e un passo alla volta si comincia. Sento tutto attutito e amplificato allo stesso tempo, boh, forse sarà la forma dei muri… non so…

Mostro il materiale che ho e con un lieve fruscio, graffio il silenzio tiepido e immobile che si è creato nella mia testa.
E’ un suono lento, come una stola di seta che si lascia cadere pigramente dalle spalle, finendo sugli scogli in una sera d’estate.

Con una torsione del busto, appoggio l’incarto sul tavolo alle mie spalle, cercando di non toccare nulla nel movimento, quindi ritorno dritta.

In tutta la stanza un odore che mi fa sentire al sicuro, la qual cosa mi spaventa ancora di più.
Mi manca un po’ il fiato: non sono più abituata a sentirmi al sicuro. Come diavolo sono finita qui?!

Dissimulo indifferenza mista a curiosità mostrando un mezzo sorriso, imbarazzante, ma dentro muoio.

Le mie mani stringono la base dei legni appena spogliati, come se si stessero aggrappando ad un piolo di una vecchia scala lanciata vorticosamente verso l’alto. D’istinto sollevo leggermente la testa per vedere fin dove va ma si dissolve come fanno i sogni al risveglio, così riporto lo sguardo in basso.

I legni intanto, piano piano si scaldano tra le dita e mentre la voce fa domande, li osservo per concentrarmi meglio.
Sono chiusi in una morsa, appoggiati sulle mie gambe piegate. Le scarpe giocano sul metallo del seggiolino come se il suolo fosse lava.

La mano sinistra li tiene uniti alla base, quasi incollati come se non volesse rischiare di farmi cadere nel vuoto e mentre le domande si fanno più presenti, la destra sfiora, con le dita socchiuse, tutta la forma dal fondo alla punta.

Mentre cerco di dare risposte che non mi facciano fare la figura dell’idiota, il palmo che danza lento mi disegna nella testa la loro sagoma che si assottiglia leggermente avvicinandosi al vertice, incontrando poi un piccolo dislivello che si conclude con una forma ovale allungata come il nocciolo di un’oliva.

Mi viene fatta la domanda che odio più di tutte, quella a cui non so mai dare una risposta, quella che mi fa sembrare ogni volta più stupida; mi si stringe un po’ lo stomaco mentre farfuglio risposte; la mano sinistra non molla la presa e la destra cerca di darmi conforto cingendo le punte che non si avvicinano mai, come il viso di due amanti separati in eterno da un sortilegio asincrono.
Dico qualcosa che evidentemente alle orecchie di chi ascolta pare avere poco senso logico, mentre il pollice della mia mano destra si incastra nervosamente nella fessura tra i due nocciolini, li accarezza e fa fare una capriola al palmo che prosegue scivolando sul dorso dei legni fino a rientrare lentamente alla base sollevandoli.

Sono riuscita di nuovo a fare la figura dell’idiota, nonostante tutto sorrido, poso i legni sulla superficie bianca e tesa che ho davanti, la quale risponde inaspettatamente con un fremito appena accennato. Paura! Sembra vivo!
Mi accerto di trovare un punto di equilibrio per non farli rotolare via e nel tentativo le mie mani si sfiorano come se fossero quelle di due estranei. Ancora il brivido.

Sposto lo sguardo dove mi suggerisce la voce e trovo la posizione che dovrebbe avere la mia sneacker grigia.
E’ più morbido di quello che immaginavo, così divertente che mi sfugge una piccola risata; sono talmente incuriosita dal rimbalzo che ci gioco un po’ e improvvisamente esplode un suono che mi toglie il respiro per una frazione di secondo.

Mi risuona nel profondo e per la prima volta, letteralmente dopo secoli, la mia anima sente la voce di casa.

Dimentico per un istante l’orrore che negli anni ha preso forma nel mio corpo invecchiato e goffo, la mano sinistra, per non farmi volare via, si aggrappa di nuovo alla base dei legni ancora appoggiati, la destra invece gioca con le punte accarezzandone la forma, facendo fremere nuovamente la superficie bianca.

Casa! – i miei colori non sussurrano altro.

Mi commuovo ma cerco di nasconderlo guardando in giro come per cercare una domanda da usare come diversivo, alzo il viso dritto davanti a me tentando di usare la mia voce come deceleratore e mi ritrovo a guardare attraverso una lente: vedo tutto super amplificato, il blu di chi mi siede davanti vibra effervescente come acqua tonica versata sul tavolo, non riesco a “non vedere”. Non riesco a proteggere i suoi colori dalla mia innata invadenza e non so come fare, mi sento come una bambina che si è persa e si guarda intorno per cercare un nascondiglio.

Provo a focalizzarmi sulle istruzioni che mi vengono date ma non so esattamente cosa sto facendo. Vengono stabilite cose, spostate altre, spiegate altre ancora… annuisco, sono confusa come quando non capisco il verso della scrittura e arriva la fine della prima. Respiro.

Agenda alla mano l’acqua tonica blu con voce squillante mi fa: – Ok quando ci vediamo la prossima lezione?
Dentro di me: – Ma veramente ho il privilegio di tornare a sentire casa di nuovo?!

Benn.

15.12.2025

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