MIO!

Ma guarda! Pensavo fossero gelidi e invece senti che tiepidini…

Così piccoli e compatti eppure scivolano uno per uno tra le dita, li vedi? Però se poi batti forte saltellano a ritmo come tante testoline ad un riff metal: spettacolo!

Il lampione li fa luccicare: sembra che attraverso la luce perdano consistenza per divenire faville e spiccare il volo.

Sono piccolini, è vero, ma in verità sono pesanti come rocce: loro stanno sul fondo, non in superficie! E’ per questo che vogliono sollevarsi e volare credimi, io lo so come funziona!

Si fanno tritare così tanto perché sperano di diventare sottili come polvere e volare con il vento per scoprire mondi nuovi. Non hanno la minima intenzione di rimanere ancorati al passato!

Io lo so!

Guardali, rotolano continuamente da una parte all’altra sbatacchiando come campane a vento mute! Si fanno spostare, mangiare, graffiare; diventano tela per disegni o materiale per sculture. Ma non reagiscono mai.

E’ come se nulla li infastidisca, come se tutto quello che accade sia solo un percorso per arrivare a volare via, via da quella vuota solitudine bastarda che non si riempie mai!

Io la conosco e funziona così: capita una mattina come un’altra che ti alzi, vai al cesso, ti guardi allo specchio e vedi una cosa che non riconosci… Come se mettessi su un cd aspettandoti di ascoltare un bel rock 90’s d’oltreoceano ed invece parte un melodico italiano anni 60 e ti sale il disgusto… Resti bloccata davanti all’immagine di un involucro che non ti appartiene! E in un istante inizia a diffondersi dentro di te un vuoto assurdo, come se durante l’assolo in pieno concerto il tuo strumento non emettesse nessun suono: è Panico!

Allora inizi a sbattere ovunque per ritornare a far suonare quel maledetto strumento: chiami persone, crei situazioni, ti aggrappi a consigli per lo più inconsistenti, scrolli come una cogliona per ore in cerca di idee, ti entusiasmi per cose che in realtà non ti dicono nulla.
Ti ritrovi a vivere in un film muto senza nemmeno l’accompagnamento del pianista.

La gente intorno parla ma non dice niente, la musica continua a suonare ma è vuota. Diventi così terribilmente frustrata che lentamente ti arrotoli su te stessa fino a diventare un sasso fottutamente silenzioso. Immobile, appoggiato lì, non importa dove.

E resti lì.

Non vuoi più muoverti. Sei stanca di cercare non sai neanche più che cosa, perché non ti ricordi nemmeno quale fosse l’immagine che avresti voluto vedere allo specchio quella maledetta mattina.

Ti passa intorno la vita, lo sai, la senti che scorre come un mare che preme sul fondale ma non reagisci, non ti interessa guardare più niente, non ne percepisci più il senso.
E c’è il vuoto che divora i tuoi visceri ripiegati su loro stessi in un pianto mai espresso.

Chi sei fuori? Anonima sconosciuta esattamente come uno di quei granelli di sabbia che il lampione fa luccicare ma che restano a terra, troppo pesanti per essere portati via dal vento.

Magari sorridi alla gente che ti parla; brilli per le risposte sarcastiche che dai ma non ti muovi da dove sei, non senti più niente tranne il vento che ti sferza senza sollevarti mai, esattamente come fa una falsa speranza: un perenne rumore di fondo che irrita e basta.

Non lo togli con niente, tenace come una corda d’alpinismo, continua instancabilmente a farti battere il cuore per tenerti all’erta “che forse un giorno magari…”

Ma magari cosa?! Dio che nervoso!

E poi ti manca l’aria, tutto inizia a girare senza sosta, saltano tutti i riferimenti, non ci sono più i punti cardinali, il sotto diventa sopra, l’aria urla e ti schianta senza pietà.
Non gli interessano i tuoi pensieri, non gliene frega un cazzo se sei triste o felice, solo o in compagnia: l’onda ti travolge e basta e non puoi fare niente per fermarla.

Lo hai fatto anche tu con me quel giorno, te lo ricordi? E’ bastato un attimo, una nota nel silenzio e hai spezzato ogni schema che mi teneva piegata in un ritmo quotidiano, liberando d’un botto sogni e vita che fino a poco prima erano imbavagliati in un groviglio inestricabile. E’ impossibile spiegare cosa ha combinato quella dannata vibrazione che strappa il plesso solare, liberando la cassa toracica in un urlo di vita.

E ora? Beh, ci è voluto del tempo si sa: io dovevo rinascere e tu lasciarti conoscere ma ora eccoci qui, dove non avrei mai immaginato di essere, io e te, seduti sul bordo a lato, a dondolare le gambe in una notte qualsiasi d’estate, abbracciata al tuo corpo solido e vibrante, osservando davanti a noi il mare scuro che fa rimbalzare i riflessi della notte, in attesa che cominci lo show.

Benn

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